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[ITA] [ENG] // NOI SIAMO QUI // Il ventiquattro maggio l’Irlanda ha detto sì al matrimonio egualitario attraverso un referendum popolare, il ventisei giugno è stato il turno degli Stati Uniti, dove la Corte Suprema Americana ha esteso a tutti, e sull’intero territorio nazionale, il diritto a sposarsi. In Europa Occidentale mancano solo Italia e Grecia all’appello del riconoscimento dei diritti per le coppie same-sex, e sappiamo bene che la Grecia è un attimo indaffarata su altri fronti. Insomma, il nostro futuro è questo. D’altronde è già il presente di tutti i paesi a noi vicini e affini. Un futuro di diritti universali. Ma non significherà la nascita di nuove relazioni e nuove famiglie, perché quelle relazioni e quelle famiglie esistono già. Si tratterà solo di permettere loro, se lo desiderano, di avere le stesse tutele di tutti gli altri. Il giorno in cui dici il fatidico «Sì, lo voglio» di fronte ai tuoi parenti e amici. Il giorno in cui ti lanciano granate di riso in faccia, i tuoi genitori riversano lacrime in pubblico e la tua nipotina è vestita come un cigno cotonato. Il giorno in cui balli una bachata davanti a una folla impaziente di condividere i tuoi scarsi risultati sul suo social network di fiducia. Quello non è un matrimonio. È un rito di passaggio, una voce sul passaporto, un atto psicomagico. Il vero matrimonio è fatto di domeniche piovose spese a scorrere la lista dei film che danno al cinema, sapendo benissimo che resterete a casa. Il momento in cui finisce la cena, con la panza piena e la voglia di restar seduti, sperando sia l’altro a sparecchiare. È fatto di gelide passeggiate al parco col pastore belga, nelle quali ci si intrattiene con sogni di un futuro equatoriale. Un matrimonio, per definizione, è qualcosa che si dà nel tempo, che cresce e si sviluppa come una quercia. Ogni impercettibile curva dei rami, traccia di una giornata ventosa, di un sole sgargiante, o della pioggia che si fa desiderare. Secondo copione, è la promessa di amarsi fedelmente, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di sostenersi l’un l’altro tutti i giorni della propria vita. Non il giorno in cui si fa quella promessa, ma tutti gli altri giorni in cui la si mette in atto. Io, che non mi sono mai sposato, sono già al mio secondo matrimonio. Per più di dieci anni ho condiviso la mia vita con una donna, ora la condivido con un uomo. Ma quando si tratta di fare la spesa, pagare l’affitto, farsi le coccole o avere moti di gelosia, le dinamiche sono sempre quelle, ve lo posso assicurare. I sentimenti sono sempre quelli. Semplici, intricati, antichissimi, comuni, unici. Amare ed essere amati è il più grande dono che la vita ci possa fare. È naturale che tutti vi aspiriamo, ed è naturale che chi lo trova, cerchi di viverlo il più pienamente e il più a lungo possibile. Per fortuna, la società ha il potere di contrastare il mio vissuto solo fino a un certo punto. Mi rimane un margine di libertà, ed è all’interno di quel margine che costruisco la mia vita. Ed è contro quel confine che rimbalzano i miei sogni. Altri milioni di persone come me, in Italia, già vivono i loro matrimoni giorno per giorno. Non basta che le istituzioni ci ignorino per cancellarci. Ma basta per privarci di diritti fondamentali, per umiliarci, per farci sentire cittadini di serie B, incoraggiati a non partecipare al gioco della vita. Per permettere alla maestra di dire ai nostri figli che noi non siamo dei genitori e che la nostra non è una famiglia. Viviamo sospesi, in cronica attesa di un appuntamento che significa tutto per noi e nulla toglie agli altri, periodicamente promesso e sistematicamente rimandato. In difesa della famiglia tradizionale, che si sente minacciata da diverse declinazioni dello stesso amore. Eppure, in tutti quei paesi dove già esiste il matrimonio egualitario, non è stata riscontrata neanche l’ombra di un dato che indichi un’incidenza negativa sui tassi di convoglio a nozze, di divorzio o di nascita dei figli al di fuori dell’unione matrimoniale. In difesa dei bambini, nonostante tutte le maggiori organizzazioni mondiali di pediatri, medici per la famiglia, psicologi e psichiatri siano a favore delle famiglie omogenitoriali come strumento per garantire il benessere dei figli. Mi chiedo se tutti quegli adulti che hanno partecipato al Family Day a Roma per manifestare contro il riconoscimento dei diritti per le coppie same-sex, siano coscienti che, statisticamente, uno su dieci dei bambini che hanno portato in piazza San Giovanni insieme a loro, continueranno a essere discriminati anche grazie ai loro sforzi. Uno su dieci di quei bambini è costretto a crescere in una famiglia in cui è normale escludere, deridere o insultare persone che il piccolo sente essere esattamente come lui. Riuscite a immaginarvi il dolore che proverebbe un bambino nero cresciuto all’interno di una famiglia razzista? O un bambino ebreo portato in piazza da un movimento antisemita? Sono molti, in Italia, i bambini che ancora oggi possono rispondere ‘sì’ a questa domanda. Non so voi, ma io, quei bambini, li vorrei proteggere. Vorrei poter dire loro che vanno bene esattamente come sono, e che da grandi saranno liberi di amare chi vogliono e di formare una famiglia come tutti gli altri. Con gli stessi doveri e gli stessi diritti degli altri. Sono i pregiudizi l’unico punto di forza di coloro che hanno marciato al Family Day, in quanto si tratta di pregiudizi antichi e radicati nella nostra società. Ma un pre-giudizio, per definizione, è un’opinione errata che dipende da una scarsa conoscenza dei fatti. Informatevi, dunque, e andiamo oltre, perché, cara Italia, arrivare ultimi all’appuntamento dell’eguaglianza non è qualcosa di cui andremo fieri in futuro.