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[ITA] [ENG] // GLI AMORI TEATRALI E LATERALI // Il teatro non lascia detriti. È un corpo a corpo tra lo spettatore e lo spettacolo. Non è possibile portarlo a casa, per poi rivenderlo da Christie’s, o su Ebay, a seconda delle aspettative. Il teatro è carne viva che si offre in pasto al suo pubblico, ma finito il banchetto, è dentro di noi, non sotto al braccio o nel bagagliaio del minivan. Il Re Ludwig di Baviera, nell’omonimo film di Luchino Visconti, infatuatosi di un avvenente attore, prova a fare esattamente ciò: a domarlo, comprarlo, viziarlo, per poterlo avere sempre al suo fianco in modo da rivivere a suo piacimento i suoi monologhi preferiti. Ma non è così che funziona, e l’incantesimo, anche per Ludwig, dura poco. Il teatro non è addomesticabile, e in cattività deperisce. Ma si tratta è solo di ciò che è messo in scena sul palco, davanti a un’audience. Quella è la sua vita pubblica, più circoscritta e controllata di quella segreta che avviene dietro le quinte, durante le prove, mentre ci si strucca o si fanno le audizioni. Il teatro ha una doppia vita. E durante lo spettacolo vero e proprio, queste due vite si intrecciano in un unico tessuto che si compone e scompone a ogni entrata e uscita di scena di un’attrice, o ogni cambio di scenografia, a ogni nuovo atto. Seguendo, quando ho potuto, la tournée del Don Giovanni di Filippo Timi, ho avuto modo di osservare questa doppia vita da vicino. A volte anche da troppo vicino, visto che gli spazi delle quinte sono spesso angusti, mentre i costumi di questo Don Giovanni, disegnati da Fabio Zambernardi, arrivano ad avere tre metri di diametro. A volte, ero letteralmente acquattato sotto una gonna. È da questa prospettiva, diciamo voyeuristica, che ho documentato lo spettacolo. Non solo ciò che è permesso vedere al pubblico, ma anche e soprattutto ciò che al pubblico è negato. Le attese degli attori ansiosi di entrare in scena, avvinghiati a una quinta, o di quelli appena usciti, che si nascondono dai pompieri per rubare dei tiri di sigaretta. Mentre lo spettacolo avanza agile e inesorabile sotto gli occhi del pubblico, dietro le quinte si consumano drammi dalle nature più diverse. C’è chi piange sommesso, che ride di cuore, chi si sfoga su un interruttore inceppato urlando rabbioso, ma rigorosamente a bassa voce, senza mai invadere il campo del dramma principale, sotto le luci della ribalta. Può succedere che sentori di questi drammi laterali arrivino sul palco sotto forma di toni accesi, movimenti taglienti, o pause inconsuete. Che sorprendano gli attori che non hanno lasciato la scena, non aggiornati sulle vicende dietro le quinte. Sono queste alchimie che rendono vivo e unico ogni spettacolo. È una dramma che, seppur scritto migliaia di anni fa, torna a vivere a ogni messa in scena con la stessa imprevedibilità della vita. Nonostante il teatro sia per natura sfuggevole e irripetibile, non riusciamo a domare l’istinto di ‘catturarlo’, di imprimerne l’orma sulla sabbia. Con il libro di fotografie sul Don Giovanni (Vivere è un abuso, mai un diritto), in uscita a Marzo, ho ceduto alla tentazione di provare a cogliere sia i momenti salienti dello spettacolo, sia la sorprendente vita parallela che anima il backstage. L’orchestrazione fantasma dei tecnici di nero vestiti, che trasportano veloci e felpati cappotti da venti chili o pezzi di scenografia da cento. I frenetici cambi di costume che ricordano i pit stop della Formula Uno, i segnali segreti tra il palco e le quinte, i pisolini rubati su una futuristica poltrona a uovo anni sessanta. Ho cercato insomma, forse con la stessa smania naif e parzialmente cieca di Ludwig nel film di Visconti, di catturarne la doppia vita. Più che per svelarne i misteri, nella speranza di renderli ancora più fitti.